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L’autista delle 3:40

Era un ragazzo normale in cerca di un lavoro come barista.
Aveva fatto la scuola e si era impegnato ad imparare a memoria la ricetta di centotrentun cocktail e a far volare lo shaker da una mano all’altra per giorni, voleva esibirsi un bar in via Como o sui navigli.
Una discussione continua con suo padre che voleva per lui un posto sicuro ma non aveva ceduto, era durata due anni quest’avventura in cui aveva cambiato nove locali diversi, lavorando a singhiozzo i week end e per qualche evento particolare. Rigorosamente in nero.

L’incontro con Lorena cambiò tutto, la passione travolgente, l’amore e ci era scappato il vivo, sarebbe diventato papà.
Le priorità erano un posto sicuro e uno stipendio fisso. Così si era ritrovato a lavorare per la società dell’autogrill. Un lavoro nel caos di cappuccini, caffè, brioches e panini sfornati a nastro.
Una catena di montaggio non era il suo desiderio, soffriva questa situazione di impersonalità del lavoro nonostante lo stipendio sicuro

Passarono i mesi, nacque Edoardo e un problema si pose. Lorena voleva tornare al lavoro ma entrambi lontani dai nonni non sapevano come gestire il piccolo.

Il destino con i suoi scherzi li aiutò. Gli fu chiesto di lavorare per una settimana, una soltanto, di notte. Nessun collega disponibile per gestire da solo dal servizio alla cassa, alle cotture notturne delle brioches.
Fu una sorpresa, piacevole.
Era da solo con sé stesso per poi correre come una trottola ma la maggior parte del tempo era un lavoro a misura di uomo, poteva parlare con perfetti sconosciuti, scuoterli dal loro torpore, dai loro pensieri era un vero piacere.
Aveva imparato a guardare le persone, leggere dentro di loro.

All’autogrill di Milano Ovest si era fatto alcuni amici, cosa difficile per lui che ora abitava a Quarto Oggiaro, una periferia straniera perché artificiale. Nulla in comune con il senso di appartenenza di chi è cresciuto in paesino della Brianza.

Parlare e confidarsi con due poliziotti della stradale, bravi ragazzi del Sud come lui che non avevano mai accettato neanche un caffè gratis; con l’autista dei rifornimenti, sempre allegro e di fretta; con gli addetti alla spazzatura sulle piazzole che raccontavano di cose inverosimili abbandonate; con un ambulante di frutta e verdura che ogni giorno andava all’ortomercato; con l’omino dei quotidiani a cui offriva un caffè per una Gazzetta o per una rivista di moda per Lorena.

All’inizio aveva sofferto un poco il sonno, poi aveva trovato il ritmo, a casa per le otto dormiva fino a quando andava da Edoardo al nido.
La serata arrivava presto giocando col bambino e sperimentando ricette che causavano spesso risate per gli esiti imprevedibili.
Verso le 10 e mezzo usciva per essere di nuovo a casa alle otto in tempo per salutare Lorena che stava uscendo col piccolo.
Si trovavano così bene che pensavano già ad un altro bimbo.

Mai un problema né a casa né fuori per tre anni fino a quella notte di gennaio con quattro sotto zero, mentre cuoceva le brioches per il mattino, entrò quell’uomo. Aveva li naso e gli occhi rossi di chi ha dormito poco o è raffreddato. Il cappello di lana dell’Inter era già l’indizio che poteva essere considerato meglio di molti altri, di fatto sorrise togliendosi il berretto di lana, era loquace.
“Bello caldo qui, riscaldamento di furgone rotto, mi fai cappuccino caldo?”
“Quest’anno l’Inter va meglio, non le pare?”
“Ah berretto, trovato in cantiere e preso, non era di nessuno.”

Conversazione finita, doveva essere un rumeno o giù di là.
Nella sua filosofia ogni uomo era degno allo stesso modo.
Fatto il cappuccino, caldo ma non bollente, con i disegnini bianchi sul marrone. Di mattino presto anche il caffè cambia aroma.

Sorseggia lentamente, è una bevanda che trasuda cortesia. Paga.

Non esce, esita, dopo un ripensamento più lungo va verso l’esposizione della merce e ritorna con una bottiglietta da 10 cl di grappa.
La mette vicino alla cassa e riprende il portafoglio.
“Stanotte tanto freddo, io dimenticato a casa.”

“Dalle 10 di sera alle 6 del mattino non posso vendere alcool.”

Guarda il barista incredulo, lui è il cliente, adesso che spende vuole essere considerato. Fa una pausa, riprende in mano la bottiglietta.

“Questo non fare niente a me, io bevo una metà di quella grande. Normale.”
“Dalle 10 di sera alle 6 del mattino non posso vendere alcool.”
“Siamo io e te, non fare incazzare, tu prendi soldi e domani, sei del mattino incassi, se no…  Se vuoi soldi bene, se no io la prendo e lascio i soldi qui. Io no ladro, io lavoro dodici ore giorno.”

Gli fa segno di mettere i soldi nel cassetto, trema è nervoso, gli manca l’alcool. Il barista gli indica le telecamere.
Il barista si sporge sul bancone e lo guarda negli occhi.

“Sei libero, prendila. Poi vediamo cosa succede”.

Uno sguardo tra i due, una minaccia e una sfida.
Uno pensa al rischio di contrastare un uomo grande e forte, l’altro al fatto che deve arrivare per le cinque in cantiere col materiale e che dorme così poco che quando lo fa vuole essere tranquillo.
Si guardano, non parlano.

Il barista l’ha giudicato senza sbagliarsi.
L’uomo col naso che non è più rosso posa la grappa. saluta ed esce.

L’autista Delle 3:40
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